PROGETTIAMO UN NUOVO RISORGIMENTO ITALICO - di Umberto Laurenti

Quando usciremo e se usciremo da questa crisi, saremo obbligati a ripensare alla globalizzazione


Cari amici Italici,
dopo molti tentennamenti, finalmente ho deciso di scrivere questa lettera che, lo ammetto subito, è soprattutto uno sfogo di uno come me che, essendo nato 70 anni fa, ha visto e vissuto molte situazioni non facili le cui conseguenze sia private che pubbliche si sono però rimarginate rapidamente, tant’è che il giudizio complessivo che mi sento di dare è che gli abitanti della nostra Penisola hanno vissuto negli ultimi 75 anni il periodo più felice della loro storia più che bimillenaria, senza guerre, senza rivolgimenti sociali, con una crescita complessiva del tenore di vita, del livello medio di istruzione, garanzie socio-sanitarie, diritti civili e crescita dello sviluppo mediamente condiviso.
Spero mi perdonerete se, prima di parlare della grave emergenza sanitaria che ci tiene immobilizzati fisicamente, vi confesso che non mi sento civicamente tranquillo nel vedere l’Italia e presto anche altri Paesi europei e non solo, in una sorta di coprifuoco senza limiti di durata nell’orario giornaliero e nel tempo, con divieto di circolazione, di riunione, con Parlamento ed ogni altra Assemblea elettiva resi pressoché inoperanti, con la messa in stato di paralisi dei partiti, dei sindacati, delle associazioni, del volontariato, delle aggregazioni di fedeli di ogni confessione religiosa, con scuole, università e gran parte dei luoghi di lavoro chiusi, con i Tribunali sostanzialmente non operanti, con palinsesti radiotelevisivi egemonizzati dall’epidemia in diretta. E per fortuna che qualcuno saggiamente ha impedito che venissero chiuse per decreto le edicole e quindi sospesa la libertà di stampa!
Certo ci restano radio, tv, telefono e web, mezzi di comunicazione fondamentali ma non necessariamente rispondenti ai criteri di trasparenza e pluralismo; e ci resta pure il sapere che, grazie al telefonino che abbiamo ormai sempre in mano o in tasca (e che ci dovrebbero ricordare che va disinfettato quanto le nostre mani) ed alla geolocalizzazione da esso fornita, con l’aiuto dei droni, degli aerei e dei satelliti, siamo costantemente monitorati nei nostri spostamenti e comportamenti, ovviamente tutto a fin di bene e per la nostra salute…!Tutto ciò è arrivato, è tuttora in corso e durerà non sappiamo ancora per quanto tempo, in un’Italia già alle prese con problemi non semplici quali la recessione economica, l’instabilità politica, il distacco tra cittadini ed Istituzioni, il malessere di vasti strati sociali, il divario crescente tra Nord e Sud, la cronica inefficienza della Pubblica Amministrazione, la carenza di infrastrutture e servizi, tutte condizioni negative che certo non vengono meno nella straordinaria condizione attuale di grave rischio per la salute della collettività, ed a cui si potranno aggiungere altre insorgenze anche gravi, quale quella già accaduta e non ancora sufficientemente analizzata e contrastata, della rivolta improvvisa e contemporanea nella maggior parte delle carceri italiane.
Insomma siamo in presenza di una innegabile generale sospensione delle garanzie costituzionali poste a fondamento della nostra comunità civile e financo delle minime condizioni di democrazia formale, il tutto forse neanche percepito dall’opinione pubblica e solo domenica 15 marzo timidamente segnalato da un articolo di Piero Ignazi su Repubblica, quando invece, senza voler negare l’eccezionalità della situazione determinata dal dilagare del coronavirus, dovrebbe essere presente nel dibattito politico, nella coscienza civica comune, nell’attenzione degli organi di informazione, almeno la consapevolezza del rischio latente in uno stato generale di sospensione senza neppure la data prevista per il loro ripristino, delle condizioni di vita democratica. E pensare che persino il Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel dichiarare, seppur tardivamente, lo stato di pandemia sanitaria, ha voluto rimarcare che “questa non è solo una crisi sanitaria, è una crisi che toccherà ogni settore”.
Fatta questa premessa, per logica dovrei ora affrontare il tema pandemia da coronavirus, ma non voglio accodarmi al vasto stuolo di esperti, scienziati ed anche tuttologi che ormai da settimane discettano di infettivologia, di virologia, di strutture ed attrezzature sanitarie. Preferirò magari, al momento giusto, ragionare delle conseguenze dell’attuale emergenza per le relazioni sociali, la psicologia delle persone, il modo di vivere la comunità civile.
Poiché è sicuro che, quando usciremo e se usciremo da questa crisi, saremo obbligati a ripensare alla globalizzazione, alle Istituzioni sovranazionali a partire dall’Unione Europea, alla partecipazione dei singoli e dei gruppi ai processi decisionali politici ed economici. Di sicuro ci troveremo in un mondo nuovo, che sconterà una fase di strabismo istituzionale fino al configurarsi di un nuovo assetto che non potrà essere semplicisticamente protezionista o globalista. Sui quesiti ricorrenti del “perché, come, fino a quando, abbiamo fatto tutto bene?” rispetto alla pandemia del coronavirus, non voglio esprimermi, lanciando solo, a futura memoria, una domanda: c’è qualche spiegazione per il fatto che la pandemia si è sviluppata, nella fase iniziale, sia in Cina che in Italia, nelle zone più industrializzate dei due Paesi? Qualcuno può spiegarci se c’è una qualche attinenza tra sviluppo del coronavirus e condizioni climatico-ambientali delle due zone?
Ma arriviamo a noi. E’ fatale che la crisi in corso esiga un riesame del nostro Progetto Italici nei termini di operatività che seppur parzialmente avevamo delineato, ma non può bloccare l’elaborazione e sistematizzazione del pensiero, perché almeno il web non ci è interdetto.

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