LA BELLA FAGGETA, PATRIMONIO DELL'UMANITA'... A SUA INSAPUTA - DI UMBERTO LAURENTI



ORIGINALMENTE PUBBLICATA IL 26 AGOSTO 2019 SU TUSCIAWEB

Soriano nel Cimino – Mi sono salvato dal torrido caldo romano di questo periodo solo perché ho fatto il pendolare verso la faggeta del monte Cimino. C’ero stato qualche volta negli ultimi anni, fermandomi a mangiare nell’ottimo ristorante “La Baita”.
Ma questa volta ho voluto ripercorrere tutti i sentieri fino alla sommità, come avevo fatto nei primi mesi del 1971 per avere una conoscenza completa dei luoghi. 


Allora stavamo preparando con un gruppetto di amici un convegno di studi per proporre la creazione del “Parco naturale dei monti Cimini”: di quella iniziativa, la prima embrionale avvisaglia di sensibilità ambientalista nella Tuscia, a distanza di 49 anni restano per me il ricordo di una bella e giusta battaglia giovanile, gli atti del convegno che aveva avuto prestigiosi relatori quali Fulco Pratesi, Franco Tassi, Francesco Baschieri Salvatori, Giuliano Montelucci, e l’originale della china disegnata dal pittore viterbese Romano Liviabella per il manifesto della mostra fotografica nazionale Natura Oggi, che organizzammo a Viterbo in quel maggio ’71 in contemporanea al convegno.
Il messaggio fondamentale presente in tutte le relazioni scientifiche era: “La zona dei monti Cimini costituisce un biotopo unico al mondo di singolare bellezza, è il più importante polmone della città Roma e un ecosistema di inestimabile valore per la Tuscia”. Con qualche difficoltà e non poche opposizioni tale messaggio fu sostanzialmente recepito dall’opinione pubblica e dalle istituzioni, tanto da portare alla creazione nel 1982 della riserva naturale del lago di Vico e all’unanime riconoscimento della necessità di salvaguardare l’ampia area boschiva dei monti Cimini, che seppure con estensione molto ridotta, testimonia e perpetua la millenaria “selva ciminia” della cui bellezza, impraticabilità e pericolosità di allora hanno scritto Tito Livio, Plinio il Vecchio, Varrone e tra i moderni Giosuè Carducci.
Quando Quinto Fabio Rulliano nel 312 a.C. riuscì ad attraversarla, i romani potettero finalmente sconfiggere gli Etruschi, ma furono così affascinati dalla loro cultura da assorbirne molti aspetti, a partire dalle scienze dell’idraulica e delle costruzioni, lasciando intatti nei luoghi che furono patria degli Etruschi ricordi, monumenti, bellezze naturali, tratti caratteriali e linguistici che ancora sono peculiari della popolazione dell’Alto Lazio.

Con splendide parole Bonaventura Tecchi descriveva in uno scritto poco noto nel 1943 tutto ciò: “Si può parlare di un carattere, di un clima morale, di un aspetto del paesaggio, caratteristici dell’Alto Lazio? Proprio da tanti contrasti del passato, da influenze diverse, dal non essere né Toscana, né Umbria ma neppure Lazio in senso stretto, è derivato alla Tuscia un suo carattere. Probabilmente il suo fascino deriva dall’incrocio di due sogni diversi, quello di Roma che trionfò nel mondo, ed il ricordo di un altro sogno, rimasto nella memoria degli uomini quasi soltanto un mistero, gli Etruschi”.
Questo sentimento si respira in particolare passeggiando nei 50 ettari della faggeta del monte Cimino, dai botanici denominata “vetusta” per la straordinaria condizione di vivere da sempre nella maniera più naturale, senza cioè alcun intervento dell’uomo, neppure di manutenzione, seguendo il concetto che anche in un albero morto c’è vita, e che occorre rispettare i cicli lunghi della natura.
Ma torniamo all’agosto 2019. Poche decine di persone, in genere famiglie con figli e cani al seguito, percorrono i sentieri della faggeta aiutati da essenziali cartelli indicatori e da tabelloni didattico-esplicativi realizzati dall’università della Tuscia. Ben differente è però la situazione nei weekend, quando centinaia di auto si ammassano disordinatamente nel piazzale antistante l’ingresso e i visitatori sono ovviamente molti di più, avendo a disposizione dentro la faggeta solo due panchine e nemmeno un cestino per i rifiuti, mentre nel piazzale i grandi cassoni per la differenziata sono fin troppo vistosi per la loro antiesteticità.

Eppure anche in quei giorni critici, quasi per spontaneo rispetto verso una natura così bella, nonostante i visitatori diventino molte centinaia, nonostante quasi tutti consumino un picnic sul posto, con attrezzature e cibo portati con sé, nonostante non ci siano servizi igienici e neppure una fontanella d’acqua a disposizione, e il rimedio per questo è ricorrere ai servizi del bar o del ristorante “La Baita” offerti anche a chi non è cliente, a fine giornata tutto resta pulito e la natura silenziosa e immutabile torna ad apparire nella sua silenziosa bellezza.
Siamo nel territorio del comune di Soriano nel Cimino. Ai suoi amministratori non è mai venuto in mente di inviare almeno nei giorni festivi un vigile urbano a regolare il parcheggio nel piazzale, di approntare un paio di bagni chimici a pagamento, di porre all’interno della faggeta qualche cestino per i rifiuti e qualche panchina? E cosa aspettano a utilizzare il bell’edificio che si trova a due chilometri dal piazzale, terminato ormai da quattro anni abbondanti e destinato ad ostello per la gioventù, miracolosamente ancora intatto e non deturpato da vandali o intrusi di passaggio?
Considerazioni che potrebbero apparire banali e scontate, le mie, perché purtroppo valide per la quasi totalità delle località italiane mete di turismo.
Sono invece obbligate e anche insufficienti in questo caso, poiché la faggeta vetusta del monte Cimino è stata inserita dall’Unesco, nel luglio 2017, nell’elenco dei luoghi riconosciuti, per unicità e caratteristiche naturali, patrimonio dell’umanità. Decine di località nel mondo, ambiscono a ricevere tale prestigioso riconoscimento e lo utilizzano poi per attrarre flussi qualificati di turismo colto e responsabile. Nel nostro caso invece, non solo non si è adottato nessun intervento infrastrutturale e nessun accorgimento organizzativo a fronte di una novità così significativa, ma con una noncuranza che prima o poi verrà a conoscenza dell’Unesco, e che comunque è desolatamente miope, non si è provveduto nemmeno ad apporre fuori o dentro la Faggeta, la benché minima indicazione dell’appartenenza a un così prestigioso e ristretto elenco di bellezze naturali. Quasi che tutto debba avvenire… all’insaputa dell’umanità.
Sarebbe interessante prendere conoscenza di come si sono organizzate, per diffondere la conoscenza del riconoscimento ottenuto e per trarne i massimi benefici in termini di afflusso turistico, le altre faggete vetuste che l’Unesco ha scelto in 12 Paesi e in particolare le dieci italiane. Chissà, forse all’ingresso della faggeta di monte Raschio nel comune di Oriolo Romano, che figura anch’essa nell’elenco Unesco, qualcuno ha provveduto a mettere un cartello o almeno una targhetta.
Umberto Laurenti


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