UNA FACCIA DA SCHIAFFI !
Una “faccia da schiaffi”: così potremmo definirla, per come ci fissa con l’aria impertinente di chi sa il fatto suo, sicuro di piacere perché sempre ricercato e, specialmente da parte femminile, anche desiderato.
Così Scipione Pulzone, detto “il Gaetano” in quanto nato attorno al 1545 a Gaeta (allora facente parte del Reame di Napoli), quando non aveva nemmeno trent’anni ma era già un artista affermato e richiesto da tutti, decise d’immortalarsi per i posteri in un autoritratto che, con quella barba alla moda, il taglio dei capelli fatto di fresco ed un sorriso appena abbozzato da “matador”, figura fra i più belli e meglio riusciti della seconda metà del Cinquecento.
Quel poco che sappiamo di questo bravo e purtroppo poco conosciuto artista lo dobbiamo massimamente al suo primo biografo ufficiale, Giovanni Baglione, che nel suo “Le vite de’ Pittori, Scultori et Architetti dal pontificato di Gregorio XIII in fino a’ tempi di Papa Urbano VIII”, nel 1642 scrisse di lui che in fatto di ritratti: “non hebbe eguale, e sì vivi li faceva, e con tal diligenza, che vi si sariano contati fin tutti i capelli”.
Nel 1566 il nostro si trasferì dalla sua Gaeta a Roma, certo perché “spinto dall’amore del bello e della gloria”, ma soprattutto in cerca di fama e quattrini, che nella splendida “Caput Mundi” tardo rinascimentale non mancavano di sicuro.
Accasatosi in piazza XII Apostoli, dove gli nacquero i figli Artemisia e Jacopo Romolo, già nel 1567 entrò a far parte dell’Accademia di San Luca, la “gilda” dei pittori romani, come ci testimonia il primo documento certo che a lui si riferisce, consistente in una ricevuta di pagamento rilasciata proprio dalla stessa Accademia dietro il pagamento della quota annuale d’iscrizione, ammontante a “scudi doi”.
Nella città eterna “il Gaetano”, facilitato dal suo bell’aspetto e dalla favella facile, seppe subito “vendersi” bene, nel senso che, grazie al suo spiccato senso degli affari ed alla comprensione di dove “tirava il vento”, si costruì in pochi anni un vasto e ricco giro di committenti composto in particolare da alti prelati ed aristocratici, tutti disposti a fare la coda davanti al suo atelier o a disputarsene i servizi a colpi di rialzi delle offerte, pur di farsi ritrarre da lui.
Così, a quello eseguito per il Cardinale Ricci nel 1569, seguirono in rapida serie i ritratti dei Cardinali Farnese, Savelli, Borghese, Crivelli, Medici e Bonelli, ma soprattutto quello del francese Cardinale Antoine de Granville, forse il più bello e famoso fra tutti perché in esso il porporato pare addirittura sul punto di prendere la parola, ricoperto com’è da una veste scarlatta magistralmente riprodotta nei minimi particolari, ricami e riflessi di luce compresi.
La sua fama si propagò velocemente aldilà del Tevere, tanto che Papa Pio V volle che il suo ritratto ufficiale fosse eseguito proprio da lui, cosi come il suo successore Gregorio XIII, famoso per la riforma del calendario, che evidentemente soddisfatto del lavoro insistette affinché anche suo figlio Giacomo Boncompagni, Duca di Sora, fosse da lui effigiato, rivestito da una splendida corazza dai riflessi dorati, con tanto di elmo e bastone del comando nel pugno della mano sinistra.
A partire dal 1574 il Pulzone, entrato nel frattempo nell’orbita della potentissima famiglia Colonna, tentò un nuovo percorso artistico, “vedendo che il solo lavorar de’ ritratti no ‘l poteva porre nel numero degli altri eccellenti Pittori”: si mise cioè ad eseguire anche lavori a carattere sacro, cioè pale e tavole d’altare richiestissime nella Roma della Riforma tridentina.
Alla ritrattistica dunque il nostro affiancò la pittura di tutta una serie di Madonne, Santi, Crocifissi, Maddalene, Assunte e Immacolate commissionategli per le più importanti chiese cittadine o dalle varie Congregazioni religiose.
Sempre refrattario a muoversi dalla sua amata Roma, nel 1584 compì comunque un primo viaggio di lavoro a Firenze per dipingervi i personaggi della famiglia granducale, in primis il Granduca Francesco I de’ Medici e la sua seconda moglie (e amante di lunga data) Bianca Cappello, cui tre anni dopo sarebbero seguiti il nuovo Granduca Ferdinando I (da lui già precedentemente ritratto in veste da Cardinale) e la consorte Cristina di Lorena.
Non stupisce che tanta fama e successo abbiamo suscitato invidie e maldicenze nei suoi rivali e particolarmente in Federico Zuccari, col quale il nostro ebbe una ferocissima diatriba in seguito alla quale avrebbe abbandonato l’Accademia di San Luca nel 1590.
Una breve e implacabile malattia lo colse purtroppo, quando doveva avere cinquantadue anni circa e si stava godendo il culmine della sua notorietà, all’inizio del 1592, portandolo a morte il 1° di febbraio di quell’anno, con cordoglio sincero e generale.
Ci resta di lui il giudizio dato da Federico Zeri, il critico d’arte che più di tutti ha contribuito a riscoprire la figura e l’opera di questo grande artista: “Non fu un caposcuola, ma conservò, in mezzo a tanta retorica, una correttezza di disegno e un gusto artistico che ricorda davvero il primo Cinquecento”.
Accompagna questo scritto l’”Autoritratto di Scipione Pulzone”, detto “il Gaetano, 1574 circa, Kröller-Müller Museum, Otterlo, Paesi Bassi.
Così Scipione Pulzone, detto “il Gaetano” in quanto nato attorno al 1545 a Gaeta (allora facente parte del Reame di Napoli), quando non aveva nemmeno trent’anni ma era già un artista affermato e richiesto da tutti, decise d’immortalarsi per i posteri in un autoritratto che, con quella barba alla moda, il taglio dei capelli fatto di fresco ed un sorriso appena abbozzato da “matador”, figura fra i più belli e meglio riusciti della seconda metà del Cinquecento.
Quel poco che sappiamo di questo bravo e purtroppo poco conosciuto artista lo dobbiamo massimamente al suo primo biografo ufficiale, Giovanni Baglione, che nel suo “Le vite de’ Pittori, Scultori et Architetti dal pontificato di Gregorio XIII in fino a’ tempi di Papa Urbano VIII”, nel 1642 scrisse di lui che in fatto di ritratti: “non hebbe eguale, e sì vivi li faceva, e con tal diligenza, che vi si sariano contati fin tutti i capelli”.
Nel 1566 il nostro si trasferì dalla sua Gaeta a Roma, certo perché “spinto dall’amore del bello e della gloria”, ma soprattutto in cerca di fama e quattrini, che nella splendida “Caput Mundi” tardo rinascimentale non mancavano di sicuro.
Accasatosi in piazza XII Apostoli, dove gli nacquero i figli Artemisia e Jacopo Romolo, già nel 1567 entrò a far parte dell’Accademia di San Luca, la “gilda” dei pittori romani, come ci testimonia il primo documento certo che a lui si riferisce, consistente in una ricevuta di pagamento rilasciata proprio dalla stessa Accademia dietro il pagamento della quota annuale d’iscrizione, ammontante a “scudi doi”.
Nella città eterna “il Gaetano”, facilitato dal suo bell’aspetto e dalla favella facile, seppe subito “vendersi” bene, nel senso che, grazie al suo spiccato senso degli affari ed alla comprensione di dove “tirava il vento”, si costruì in pochi anni un vasto e ricco giro di committenti composto in particolare da alti prelati ed aristocratici, tutti disposti a fare la coda davanti al suo atelier o a disputarsene i servizi a colpi di rialzi delle offerte, pur di farsi ritrarre da lui.
Così, a quello eseguito per il Cardinale Ricci nel 1569, seguirono in rapida serie i ritratti dei Cardinali Farnese, Savelli, Borghese, Crivelli, Medici e Bonelli, ma soprattutto quello del francese Cardinale Antoine de Granville, forse il più bello e famoso fra tutti perché in esso il porporato pare addirittura sul punto di prendere la parola, ricoperto com’è da una veste scarlatta magistralmente riprodotta nei minimi particolari, ricami e riflessi di luce compresi.
La sua fama si propagò velocemente aldilà del Tevere, tanto che Papa Pio V volle che il suo ritratto ufficiale fosse eseguito proprio da lui, cosi come il suo successore Gregorio XIII, famoso per la riforma del calendario, che evidentemente soddisfatto del lavoro insistette affinché anche suo figlio Giacomo Boncompagni, Duca di Sora, fosse da lui effigiato, rivestito da una splendida corazza dai riflessi dorati, con tanto di elmo e bastone del comando nel pugno della mano sinistra.
A partire dal 1574 il Pulzone, entrato nel frattempo nell’orbita della potentissima famiglia Colonna, tentò un nuovo percorso artistico, “vedendo che il solo lavorar de’ ritratti no ‘l poteva porre nel numero degli altri eccellenti Pittori”: si mise cioè ad eseguire anche lavori a carattere sacro, cioè pale e tavole d’altare richiestissime nella Roma della Riforma tridentina.
Alla ritrattistica dunque il nostro affiancò la pittura di tutta una serie di Madonne, Santi, Crocifissi, Maddalene, Assunte e Immacolate commissionategli per le più importanti chiese cittadine o dalle varie Congregazioni religiose.
Sempre refrattario a muoversi dalla sua amata Roma, nel 1584 compì comunque un primo viaggio di lavoro a Firenze per dipingervi i personaggi della famiglia granducale, in primis il Granduca Francesco I de’ Medici e la sua seconda moglie (e amante di lunga data) Bianca Cappello, cui tre anni dopo sarebbero seguiti il nuovo Granduca Ferdinando I (da lui già precedentemente ritratto in veste da Cardinale) e la consorte Cristina di Lorena.
Non stupisce che tanta fama e successo abbiamo suscitato invidie e maldicenze nei suoi rivali e particolarmente in Federico Zuccari, col quale il nostro ebbe una ferocissima diatriba in seguito alla quale avrebbe abbandonato l’Accademia di San Luca nel 1590.
Una breve e implacabile malattia lo colse purtroppo, quando doveva avere cinquantadue anni circa e si stava godendo il culmine della sua notorietà, all’inizio del 1592, portandolo a morte il 1° di febbraio di quell’anno, con cordoglio sincero e generale.
Ci resta di lui il giudizio dato da Federico Zeri, il critico d’arte che più di tutti ha contribuito a riscoprire la figura e l’opera di questo grande artista: “Non fu un caposcuola, ma conservò, in mezzo a tanta retorica, una correttezza di disegno e un gusto artistico che ricorda davvero il primo Cinquecento”.
Accompagna questo scritto l’”Autoritratto di Scipione Pulzone”, detto “il Gaetano, 1574 circa, Kröller-Müller Museum, Otterlo, Paesi Bassi.
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